Poison di Dior: il veleno del cuore
Provo da sempre una grande fascinazione per la profumeria degli anni 70’-80’: la sua sfrontatezza e voglia di osare, l’opulenza che caratterizzava le creazioni del periodo, persino il coraggio nella scelta dei nomi da dare ai profumi. Basti pensare ad “Opium”, nome che suscitò scandalo e costernazione. La maison Dior non voleva essere da meno: Maurice Roger, direttore di Dior negli anni 80’, desiderava un profumo da donna che rompesse gli schemi e che alleggerisse la maison da quell’aura un po’ vecchio stampo che la caratterizzava. La nuova uscita doveva essere conturbante, provocativa e ammaliante. Quasi fosse una pozione da strega più che un profumo. E così nacque Poison.
La frase che si poteva leggere sugli
advertising dell’epoca era una citazione del poeta Paul Valery: “Il profumo è
il veleno del cuore”. E tutto quello che accompagnò l’uscita del profumo
puntava ad esaltarne l’aura di mistero, quasi di inquietudine, sicuramente dark
e iper-seducente. Anche il flacone, con la sua caratteristica forma a mela,
voleva simboleggiare il frutto avvelenato della strega, il proibito pronto a
far cadere in tentazione. E proibito Poison lo fu davvero: a New York, nei
locali pubblici, non era infrequente imbattersi in curiosi cartelli che recitavano
“Vietato fumare e vietato Poison”.
Al di là delle suggestioni, Edouard
Flechier, naso della fragranza, ha per me creato un vero capolavoro. L’apertura
è oscura e asprigna, con sentori di prugna, legno di rosa e bacche selvatiche, che
riporta subito l’immagine di una strega intenta a raccogliere frutti nel bosco,
facendosi strada tra i rovi e gli alberi spinescenti. Poi si apre il cuore del
profumo, che è quello che lo caratterizza: una favolosa, inebriante, potentissima
tuberosa, addolcita dal miele e incupita dall’incenso. La miriade di altre note
annesse (tra cui opoponax, fiore d’arancio, vaniglia, ambra, cannella, muschio,
sandalo) risultano quasi indistinguibili ma contribuiscono a creare una scia
persistente ed estremamente ammaliante.
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